“I giovani di oggi non chiedono solo un lavoro. Vogliono qualcosa che conferisca loro un'identità e li inserisca in una comunità. Da questo punto di vista la formazione ha una grossa responsabilità, a partire dal fatto che in ogni istituzione scolastica di qualsiasi grado il lavoro di gruppo viene ad oggi sacrificato. Bisogna insistere sulle soft skills, senza mai abbandonare le competenze digitali e i mestieri pratici. La sfida sta nel proporre un lavoro ricco e stimolante per una cultura che guarda al futuro”. Nel trattare il tema delle professioni del domani, l'incontro di ieri sera proposto nell'ambito dei Mondi di carta dal gruppo Enercom ha colto l'occasione per fare un bilancio del sistema formativo italiano, tra quanto è stato fatto e quanto ancora resta da fare. A parlarne, moderati dal giornalista del Corriere della sera Stefano Righi, Fiorella Crespi, direttore osservatorio hr innovation practice del Politecnico di Milano, Franco Gallo, dirigente tecnico presso il Ministero dell'istruzione, Marco Cimelli, Hr manager Gruppo Enercom e Stefano Micelli, docente di economia e gestione delle imprese all'università Ca Foscari di Venezia.
Autoapprendimento
“Il futuro del mercato del lavoro passa della digitalizzazione. Le aziende incontrano difficoltà a trovare candidati idonei per posizioni di elevato spessore tecnico” ha esordito Crespi “e l'ulteriore problema riguarda la capacità da parte delle imprese stesse di continuare ad attrarre candidati validi”. Il problema alla base è formativo. “Non si è ancora affermata in Italia la cultura dell'autoapprendimento. Non tutti riescono a comprendere che il mercato del lavoro di oggi richiede un continuo aggiornamento. Tra i dati che si registrano vi è anche un timore, una resistenza delle persone a mettersi in gioco”. Secondo Micelli l'inciampo del paese sul sistema formativo risale al passato. “Il nostro è un paese che ha impedito a varie generazioni di trovare una soddisfazione nel percorso formativo. E i dati che abbiamo lo confermano”. Il 16 per cento degli italiani appartiene ai Neet (agli inattivi, che né studiano, né lavorano). “L'Italia ha pensato a lungo che sarebbe rimasto un paese industriale, ma così non è stato”.
Its
Le occupazioni del futuro richiedono “un'elevata preparazione tecnica applicata al versante della sostenibilità, della transizione energetica”. Per Marco Cimelli “il gap tra domanda ed offerta, soprattutto tra i più giovani, riguarda le soft skills. Spesso si incontrano giovani tecnicamente preparati, quello che manca è una formazione sul pensiero critico, sull'analisi prospettica, sulla leadership”. Il primo periodo in azienda serve a “mixare soft e hard skills, senza dimenticare le digital skills, che sono il futuro”. Da questo punto di vista, gli Its possono giocare un ruolo rilevante: “sono un ponte tra il mondo della scuola ed il mondo delle imprese”. Allo stesso modo “andrebbe incentivato anche l'apprendistato duale”. Nella nostra regione sono 140 gli studenti che nel 2021 si sono diplomati attraverso il sistema dell'apprendistato duale, vale a dire “uno strumento che unisce la teoria delle lezioni frontali alla pratica nel mondo aziendale”.
Sapere e saper fare
Un sistema “efficace, ma complesso per un adolescente” ha spiegato il dirigente Gallo. Al contrario gli Its “difendono il valore di una competenza tecnica e prevedono lezioni per il 70 per cento erogate da persone provenienti dal mondo dell'impresa”. Il domani passa da lì “da una formazione che coniuga il sapere al sapere fare e che valorizza le persone”. Di tutta risposta però “i lavoratori non devono fermarsi, devono aggiornarsi continuamente” riprende Crespi. “Il segreto sta nel fare sempre un lavoro che appassiona”. L'aggiornamento deve divenire sempre più un processo autonomo, a partire da un dato, suggerito dallo stesso Righi: “le grandi imprese, che erano in grado di investire su una persona formandola non ci sono più. Sono state soppiantate da medie imprese che sposano questo modello di autoformazione”. Il motivo è semplice: “il costo del lavoro in Italia è sempre troppo elevato”. Per dirla in parole povere: una persona deve già essere pronta. In un panorama complesso, estremamente dinamico. Dopo la pandemia si stima che una persona su quattro dovrà cambiare lavoro. Il mercato del lavoro evolve. E le persone non possono star ferme.