07-09-2023 ore 19:30 | Cultura - Itinerari
di Sofia Patrini

Vacanze romane, mete ambite e luoghi di perdizione come in un film di Carlo Vanzina

La scorsa estate ho avuto la stessa fortuna di chi ha preso una villa a Pompei per l’estate del 79 d.C. Decisamente, annus horribilis per la villeggiatura. Dopo aver passato il mio primo agosto in pianura padana, girando tutte le mostre ancora aperte a Milano, alla ricerca di una storia romantica e dopo aver trovato solamente un emiro in Galleria con due Iphone-13 Max in mano che mi ha chiamata “habibi” (amore mio) e “viri pritti” (very pretty), ho deciso che fosse necessario un viaggio alla ricerca di antichi valori, precisamente quelli romani.

 

Vacanze romane

Si sa, i romani non vengono ricordati principalmente per la filosofia, per lo più presa in prestito dai greci, usata per rafforzare l’arte oratoria, dottrina tanto amata. Nonostante ciò, tra questi troviamo alcuni personaggi celebri che hanno amato la filosofia, tutti accomunati da una cosa in particolare: i luoghi di vacanza. La zona del basso Lazio e la Campania erano tra le mete favorite dei romani in fuga dall’Urbe. Se per i lombardi la Liguria è quel luogo prediletto, dove tutti hanno una seconda casa perché abbastanza vicina e molto bella, i romani per non allontanarsi troppo dalla capitale sceglievano Anzio o Sperlonga, dove anche Nerone e Tiberio si fecero costruire delle ville. Lo stesso Adriano, ricordato come l’imperatore filosofo, aveva scelto la località odierna di Tivoli per far costruire la sua villa provvista di un “isolotto” centrale, per quando sentisse la necessità di stare solo in totale tranquillità. L’isolotto era raggiungibile solamente con un ponte di legno che veniva prontamente montato e riposto dagli schiavi dietro suo ordine. Onestamente, quello di cui tutti avremmo bisogno quando in vacanza l’animatore di turno cerca di convincerci a fare tremila attività (no, non sono timida: sono in vacanza e non ho voglia di fare balli di gruppo dopo la gara di bandierina!).

 

Le mete più ambite

Ma le vere mete iconiche, quelle degne di una storia Instagram dei Ferragnez, erano un po’ più a sud: Pompei, Ercolano, Oplontis e Stabia. Su di esse, al posto di un sacco di storie Instagram, abbiamo diversi scritti romani che raccontano di come si trascorrevano le ferie nelle immense ville, dotate di viste panoramiche sul mare, palestre e terme private, biblioteche e magnifici giardini (di cui qualcosa rimane), tra lussuose feste, gite in barca, letture, passeggiate a piedi o a cavallo, la caccia e a fine giornata banchetti animati da musica, danze e arti circensi. Villa Rubino a Pompei, secondo molti studiosi, sarebbe stata la villa estiva di Cicerone.

 

I luoghi della perdizione

Cicerone cita un altro luogo estivo visto in modo ambiguo dai romani: Baia. Città dedicata a Venere, nota per le terme (famose come i mulini di Amsterdam che ogni anno attirano migliaia di giovani). Capiamo che tipo di turismo non family friendly andasse all’epoca grazie agli scritti di diversi autori. Seneca lo descrive così: “Laggiù la lussuria si permette ogni cosa e ci si abbandona a tutto, come se quel luogo racchiudesse ogni libidine; bisogna cercarsi una località salubre non soltanto per il fisico, ma anche per la morale”. Più o meno la stessa reazione di quando i tuoi ti chiedono di partire, per una volta, per un viaggio culturale e tu proponi Pag, l’isola della movida in Croazia. Properzio in un’elegia chiede all’amata Cinzia di allontanarsi da Baia, definendola “una spiaggia da sempre ostile alle fanciulle pudiche”. Il poeta, preoccupato dei piaceri e delle passioni che si consumavano sotto la luce del sole e fra girovaghi ubriachi, si esprime con la stessa tenacia dello spasimante “friendzonato” che implora l’amata di tornare dalla vacanza ad Ibiza con le amiche.

 

Come un film di Carlo Vanzina

Cicerone nomina Baia nel Pro Caelio, famosa orazione tenuta in difesa di Celio, accusato da Clodia di sovversione violenta contro l’ordine pubblico. Clodia viene paragonata alla città, in quanto amante di diversi uomini (tra cui il poeta Catullo), per la sua condotta libertina durante i banchetti e le gite in barca, e per la mancanza di decoro in spiaggia. L’accusa di Clodia viene definita come fondata sulla vanità della stessa, in quanto non più ricambiata da Celio. Mi piace immaginare Celio come un uomo senza qualità e Clodia irraggiungibile da quest'ultimo, un po’ come se l’accusa verso di lei fosse falsa e dovuta alla scarsa autostima di Celio. Quello che però possiamo imparare è che lo slutshaming in Senato non è un’invenzione dei nostri tempi: un po’ di topless non ha mai ucciso nessuno, ma a quanto pare infastidiva Cicerone. Ironia della sorte: alle donne viene richiesto sempre un certo comportamento, ma passano alla storia quelle che non lo rispettano. In conclusione, attraverso diverse fonti possiamo vedere come le vacanze degli antichi non fossero poi così diverse da un film di Carlo Vanzina.

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