Diamanti è come un enorme Suq colorato, brillante, irrequieto e brulicante, dove la merce di scambio è rappresentata da un’inesauribile quantità di preziose qualità umane declinate al femminile, in un contesto dove protagonista indiscusso è il quotidiano. La vita di tutte le donne del film scandita dai tempi del lavoro, della famiglia, delle relazioni: per tutta la durata del film non ci sono ore del giorno (e della notte) dove si placa questo fare; questo magma creativo, questa necessità di reagire agli eventi, di provare ad indirizzarli verso quel naturale desiderio di serenità, felicità, che sfugge e che nessuno riesce mai pienamente a trattenere, malgrado i ruoli che la vita gli ha destinato o che è riuscito a raggiungere.
Alta intensità
È un quotidiano carico, denso, gravido di situazioni (per lo più complesse e spinose) reso evidente da momenti di intensa cinematografia grazie anche ad un cast notevole dove nessuna delle protagoniste ha sbavature di sorta in una efficace azione corale che tiene alta l’intensità della magia che Ozpetek ha l’ambizione di creare. E sin dall’inizio vuole condividere la sua embrionale creatura, la sua idea con cui vuole celebrare le donne e la consegna in gestazione a loro alle donne protagoniste indiscusse; come regista traccia i contorni di una storia che poi viene ricamata al suo interno da mani abituate a risolvere, a riempire, a dare senso. Tanti piccoli diamanti incastonati nelle trame della vita, tanti riflessi di luce che arrivano e penetrano lo spettatore.
Comunità operosa
Il diamante è duro ma fragile, è una delle pietre più preziose e quando si forma nella profondità della terra è sottoposto a pressione e calore estremi che possono formare delle imperfezioni nella struttura cristallina e queste “impurità” queste fragilità possono rimanere intrappolate nella pietra e la loro grandezza determina il valore e la purezza del diamante. La vita ci forgia, ci rende fragili ma al tempo stesso potenti e preziosi. E le donne del film sono preziose, pure, dure, forti e fragili, e vivono la magia dello stare insieme, del fare insieme, dell’affrontare insieme quel quotidiano che le affatica, che tanto toglie ma altrettanto dona; ed è questa dimensione di comunità femminile operosa che arriva tramite le immagini. “La magia del cinema non sta in quello che si vede, ma in quello che si sente”, afferma Ozpetek. Forse in quello che risuona nello spettatore anche a distanza di giorni da quando ha assistito alla proiezione di un film. E questo film ti si appiccica addosso, o meglio e aria che respiri e che fa vibrare corde interiori differenti perché anche per chi donna non è, in questo film dove le protagoniste sono donne, ci si sente interpellati.
Forza, potenza, determinazione
Si avverte subito che questa magia non è un fatto che riguarda il singolo, si costruisce insieme la vita con le vite di tutti, con le loro presenze e anche con le loro assenze (quanto indicibile dolore abita il cuore di Gabriella, una dolcissima Jasmine Trinca), con le loro spigolature e le loro dolcezze, è un complesso gioco di relazioni quello che ci coinvolge ogni giorno e questo Ozpetek lo rappresenta con grande chiarezza; le tinte del film sono forti, mai accennate, sono pennellate dense, sode, spesse, il paradosso della fragilità che esprime forza, potenza, determinazione ed è un flusso inarrestabile di emozioni, è come se il regista tenesse in mano un diamante illuminato e continuasse a farlo girare davanti ai nostri occhi emanando emozioni di colori ed intensità diverse, e ce le regala tutte: la tristezza come la gioia, la disperazione come la tenerezza, la rabbia, l’ironia (come è stata azzeccata la scelta di Geppi Cucciari) e la spensieratezza…beata spensieratezza che è un balsamo che sparge nella stanza un odore che quasi inebria e che porta a ridere e a scherzare, ballare e cantare malgrado le ferite, il dolore, quanto è necessaria la spensieratezza in questa vita che travolge e sconvolge!
Un dovere da compiere
Non ci viene risparmiato nemmeno di assistere all’ennesimo episodio di cruda violenza che grazie alla determinazione di tutte ribalta un finale a cui troppo spesso siamo costretti ad assistere nella nostra quotidianità: chi non avrebbe voluto abbracciare Nicoletta (una intensa Milena Mancini) durante il film? Non sarà facile dimenticare la determinazione di Alberta Canova (Luisa Ranieri ha centrato ogni attimo della sua interpretazione) la donna capo che deve nutrire la sua capacità di resistere per il bene di tutte, ha un dovere da compiere e deve contenere le forze esterne (ma soprattutto interne quelle che giacciono profonde nella sua anima) che possono distruggere il suo formicaio. Alberta si trascina addosso il peso di questa responsabilità: mai un sorriso, mai una parola fuori posto (e come non pensare a tutte quelle donne che hanno contribuito in tutti questi anni a renderci liberi), mai un capello fuori posto (splendido il colore dei suoi capelli) eppure sono state belle le sue lacrime, necessarie, liberatorie anche per noi che assistevamo.
Mai protagonisti
Gli uomini ci sono stati nel film, manovrati dalle donne, per lo più sbeffeggiati, messi in mutande, oggetti di godimento per gli occhi, ma mai protagonisti questa volta, ripagati probabilmente con la stessa moneta che da anni viene riservata alle donne nei vari contesti sociali e lavorativi; uomini quasi nemici o peggio in antitesi un po’ come lo scontro atavico tra l’arte del cinema e quella del teatro che comunque nel corso del film trova una soluzione. È un film che cattura, che non vuole insegnare ma che vuole incoraggiare: “Anche se fosse solo per un’ora. Il tempo di cantare una canzone e di imparare ad abbracciarsi ora, e tornare a splendere e promettere di essere soltanto me, soltanto me”.