04-04-2015 ore 16:48 | Cultura - Storia
di Severina Donati de Conti

Historia et Imago Cremae. Il vernacolo di Federico Pesadori: il poeta cremasco che cantò la sua amata terra e la sua gente

“A Crèma, la me Crèma cara, Ché i munt luntá, i campanìi, le tère che sa spècia col cül an sö ‘n dal Sère sìi pör sciàrat dal sul o da la lüna i ciama ‘n penser car o ‘na persuna”. Il pensiero caro o la persona per noi oggi è Federico Pesadori, uno dei nove figli del tenore cremasco Ranuzio Pesadori del quale abbiamo parlato in questa sede, e di Carolina Baletti, appartenente a una nota famiglia di Crema. Intenzionalmente non tradurremo i versi qui riportati per non togliere loro la freschezza della manifestazione formale, l’espressione linguistica che accomuna la visione dell’amore per la vita, la natura, il territorio attraverso delicate sfumature senza escludere, a volte, forti locuzioni.

 

La vena poetica

Scelse d’esprimere la sua vena poetica nel vernacolo cremasco per non staccarsi dallo spirito della sua gente, per essere vicino alla sua terra sia attraverso i contenuti sia attraverso la rappresentazione formale. Quando nacque, il 3 novembre 1849, essendo autunno inoltrato, la numerosa famiglia si preparava a rientrare dalla campagna, in località Castello di Ricengo, per trascorrere i mesi invernali nel palazzo di viale all’Acqua, attuale via Verdi a Crema. Certamente Federico ereditò la vena artistica dal padre Ranuzio, che aveva svolto l’attività di tenore presso la corte di Sassonia, nel contesto del Teatro dell’Opera Italiana.

 

Gli studi giuridici

Anche il padre, come si legge in alcuni documenti, amava inventare rime per divertimento e Federico (nel ritratto a sinistra di Severina Donati de Conti), a sua volta, sapeva ben destreggiarsi al pianoforte. Nel disegno aveva facilità e si dedicava specialmente alle caricature, assecondando anche con la matita il carattere comico, polemico e osservatore. Scelse studi giuridici e, laureatosi all’Università di Padova nel 1872, fece pratica di notariato.

 

Il matrimonio

Sposò nel 1882 Amina, appartenente alla nobile famiglia Lantieri di Tirano e figlia del notaio presso il quale Federico entrò come praticante. Della sua professione, che non amava, ci rimangono alcuni versi scritti a margine su un atto notarile.

 

Le figlie

Del matrimonio sopravvissero due figlie, Antonina e Rachele. La prima andò sposa al dottor Colonnello Ercole Monti di Perugia, la seconda sposò l’avvocato Giovanni Valdameri, fratello del monsignor don Valdameri, parroco della chiesa di San Benedetto a Crema. Morì l’8 aprile 1923, le sue spoglie riposano nel Famedio del Cimitero di Crema.

 

L’origine del dialetto cremasco

L’importante pubblicazione di Scheiwiller del 2006, con la presentazione del professor Ettore Albertoni, colloca Federico Pesadori tra i più importanti poeti in vernacolo della Lombardia. L’internazionalità e l’importanza culturale della casa editrice ha così dimostrato di non trascurare affatto il filo sottile che emerge dalle tradizioni e dai linguaggi locali, incluso il dialetto della nostra terra cremasca, che, come si evince anche da Insula Fulcheria, risale al ceppo “ cenomane ” e si collega alle origini del dialetto bresciano e bergamasco.

 

Pietra miliare del vernacolo lombardo

In questa pubblicazione, pietra miliare dei linguaggi in vernacolo lombardi, sono citati sommi poeti dialettali come Carlo Porta (1775 – 1821) e Domenico Balestrieri (1714 – 1780  per Milano, Carlo Assonica (1626 – 1676) e Pietro Ruggeri da Stabello (1797- 1858) per Bergamo, Giovanni Gandini (1645 – 1720) e Carlo Girelli (1730 – 1816) per Brescia. Anche Crema trova la sua parte e, nel panorama dei poeti menzionati nella rassegna, viene messo in evidenza come, grazie al poeta Pesadori, l’espressione dialettale del linguaggio cremasco nella seconda metà del milleottocento compie un salto di qualità divenendo oggetto di attenzione letteraria. In linea generale gli autori annoverati nell’Antologia si ispirano e narrano la vita nello svolgersi quotidiano, gli affetti e i sentimenti famigliari, l’amicizia, la gioia, la comicità, il dolore, la fatica e il lavoro, insomma tutto ciò che risulta vicino alla grande esperienza umana.

 

Versi sintetici

Gli affetti sono fermissimi, vincolanti, senza appelli né orpelli e, soprattutto, esprimono in versi profonde espressioni d ‘amore, come quelle che rivolge alla piccola nipote Bruna, mamma di chi scrive:“e ma è l’impet da daga di basì, ma guai, guai! la faress sghilì perché, con me, madrègna, la natüra la ma cunsat al müs da barba düra ”. Non mancano accenti di accorato risentimento rivolte agli amici e conoscenti, versi trasformati in poesia, stringata, sintetica efficace.“Nò, nu secám le scátule a dì che me so ‘n òm an gran cuntent, se cünte de le bágule. Co la scüsa da ludam nu la fatt che cujunam”. E, rivolgendosi all’agente delle imposte, argomento sociale d’attualità “che ‘l ma cáe  tant  sanch a ‘na manéra  da fa crepá da fam anche i pülèch”. Assicuriamo i nostri lettori di non voler esperire alcuna analisi o raffronto, impossibile peraltro, tra gli autori. Si tratta solo di una  traduzione del Pesadori (nella foto a destra con la nipote Bruna) riguardante l’inno Il Natale di Alessandro Manzoni, un divertissement del Pesadori, per sua natura incline allo scherzo. Qual sass che da la cüpula (Qual masso che dal vertice), d’un èrtega muntada (di lunga erta montana), tich e te tach al brìgula (abbandonato all’impeto), zo ‘n funt a ‘na valáda (di rumorosa frana), al sbat pèr töt la soca, (per lo scheggiato calle), al spaca la maröca (precipitando a valle), fin che nu ‘l casca lá (batte sul fondo e sta).

 

L’affetto dei cremaschi

Fu grande e lo è tuttora, oltre ogni possibile immaginazione dello stesso Pesadori che, in vita, amaramente constatava parlando delle bellezze della sua Crema: “le par ròbe da matt, ma töte ‘nsèma le ma tègn ligát a la me Crèma; ché i mèzz ai  cios, ai prat, le stradeline  doe canta i rosgos, le speransine, senza sperà ‘n unur,  an’ atensiú, a spetá ‘l dé da mor cumè ‘n cuiú”. Ultimo, ma non ultimo, Federico Pesadori è il bisnonno materno di chi scrive. Fonti : documenti da archivio privato di Severina Donati De Conti.

2946