Carlo Goldoni nacque a Venezia il 26 Febbraio 1707. Era figlio di un appassionato dell’arte teatrale, fin dall’infanzia fu abbracciato dalla vis comica; improvvisava e scriveva pochade per il suo personale teatrino di burattini. Solo dopo aver soggiornato a Crema abbandonò l’attività forense per cimentarsi come scrittore. Era il 1733, quando, dopo aver lasciato la città in fretta e furia, si recò nella fatal Verona, aggregandosi ad una compagnia che aveva per capocomico Imer. Iniziò così la nuova attività allestendo scenari: erano abbozzi di sceneggiatura che facevano da traccia e canovaccio agli attori, i quali improvvisavano.
Il soggiorno
Orbene, durante il soggiorno in Crema aveva potuto probabilmente constatare il grande Teatro dell’Arte che da sempre si dipana a partire dalla Central Piazza (piazza Duomo) che già a quel tempo era un’esedra, un’agorà, un palcoscenico sempre allestito ove i cittadini erano o si sentivano il centro della scena, da mane a sera e per 365 giorni l’anno. Crema dunque nel ‘700 era una città pittoresca, ispiratrice della varia umanità che si poteva trovare ad ogni angolo e in ogni dove. Il posto ideale che fece scattare nel giovane Goldoni il demone della Commedia dell’Arte.
L’arrivo in città
Nel 1731 Goldoni si laureò in legge e prima di giungere a Crema fu impiegato in varie cancellerie del Veneto. Orbene, nel 1733 fu inviato a Milano quale gentiluomo di camera dell’ambasciatore della Serenissima e fu in quel lasso di tempo che il fato e gli eventi, ergo la guerra, lo costrinsero verso la piccola Crema. Non sappiamo il giorno esatto in cui l’allora ventiseienne varcò Porta Ombriano, ma era verso fine maggio. Venezia si era dichiarata di fatto stato neutrale fra i belligeranti (i franco sabaudi versus gli austriaci) e Milano fu occupata. Fu allora che per precauzione l’ambasciatore veneto Orazio Bartolini con il suo segretario personale, l’avvocato Carlo Goldoni, giunse in riva al Serio.
Giovinotto che con passo sicuro
Verso le dieci d’una splendente mattinata di uno de’ ultimi giorni di maggio si presentò innanzi al ponte levatoio di Porta Ombriano una gran carrozza, un carrozzone, atta al lungo viaggio, colma di casse e scortata da tre o quattro staffieri coperti da livrea gallonata. Presso la casuccia, detta della Gabella, sostava il guardiano/daziere; quando la carrozza si fermò, scese un giovinotto che con passo sicuro si parò innanzi al dazio stazzo di Porta Ombriano. Era Carlo Goldoni, aveva il viso in carne, bello pieno, piuttosto rotondiccio, d’aspetto rubicondo e gioviale nel tratto, gli occhi erano incassati in due fessure che davano sul furbesque, scrutanti e mobilissimi.
Troneggiava sul capo una chioma lunga posticcia
Carletto avea in capa un toupé, un parruccone come s’usava a quei tempi (praticamente una schifezza). Esso troneggiava biancheggiante di polvere di Cipro che qualche ora prima un palafreniere aveva aiutato a cospargere. Dal parruccone partivano due ordini di orribili riccioli intrecciati, impomatati con del calamistro, i quali riccioloni a loro volta erano imbirlati in semicerchio, coprendo la nuca e finalmente si arrestavano penzolanti fra un orecchio e l’altro raggrumando il resto della posticcia chioma in un borsotto intorciliato con un elegante nastro setagno di colore antracite.
La trasposizione di Venezia
Tacciamo per pudore e per amore della venetica patria il restante panneggio in cui era avvolto il viaggiatore. Crema agli occhi del giovin signore appariva come la trasposizione di Venezia, dopo ben duecentocinquant’anni di governo e di serenissime disposizioni al punto che forse, forzando un po’, mancavano solo le gondole, forse perché, non ne siamo sicuri, infatti fra le imbarcazioni cremasche non tutte, ma qualcuna richiamava quelle in laguna, tante erano e di diverse fatture che solcavano a perdita d’occhio i fossati, gli stagni, insomma, le acque cremasche. Le abitazioni erano in stile veneziano, le mura erano venete, la città piena di leoni in marmo che troneggiavano in ogni dove fra i muri, sui palazzi, persino le bandiere che garrivano e sventolavano erano picte con il re della foresta con il libro in mano; sulle carte e sulle pergamene timbro leonini a profusione. Fine prima puntata.
Fonti: Memories del signor Goldoni, cap. 31 - Goldoni a Crema di Ferdinando Meneghezzi, 1855