The Whale è l’ultimo film di Darren Aronofsky, regista di Pi Greco, Requiem for a Dream, The Fountain, The Wrestler, Il Cigno Nero, Noah, Madre. Si tratta dell’adattamento di un’opera teatrale del 2012 di Samuel D. Hunter, che ha scritto anche la sceneggiatura per Aronofsky. Come avviene spesso a teatro, The Whale è ambientato in un breve lasso temporale all’interno di uno spazio ridotto: la casa del protagonista. Charlie è un professore obeso che vive da autorecluso, vergognandosi del suo aspetto. Un’amica infermiera passa a visitarlo e lo implora di recarsi in ospedale se non vuole morire entro il weekend. Ma Charlie rifiuta e nei suoi ultimi giorni di vita tenta di riconciliarsi con la figlia adolescente, che non vede da quasi un decennio. The Whale infatti è strutturato in giorni della settimana, come Shining di Stanley Kubrick.
Il ritorno meta-cinematografico di Brendan Fraser
The Whale, ossia “la balena”, è pieno di riferimenti a Moby Dick, ma ciò che lo ha reso un film attesissimo è stata la scelta dell’attore protagonista. Diventato famoso negli anni Novanta per la trilogia della Mummia, Brendan Fraser era ingrassato dopo una serie di flop. Caduto in depressione a causa delle molestie sessuali da parte di un ex presidente della Hollywood Foreign Press Association, era sparito dalla vita pubblica. Come aveva fatto con Mickey Rourke in The Wrestler, Aronofsky resuscita un divo dimenticato da tempo, invecchiato, devastato nel fisico e nella mente, e in un gioco meta-cinematografico gli fa interpretare un personaggio che ricorda la sua vita reale.
Darren Aronofsky, un regista estremo e divisivo
Aronofsky è uno di quei registi che si venerano o si odiano: allucinogeno, visceralmente disturbante, criptico come David Lynch. Quasi tutte le sue pellicole sono un pugno nello stomaco, una violenza psicologica, un crescendo di follia che sfiora l’assurdo nella parte finale e si conclude con l’autodistruzione dei protagonisti. Nella filmografia dell’autore ricorrono tre temi principali: le dipendenze (dalla droga, dal cibo, dalla televisione), la religione (o meglio la mistica ebraica) e il corpo (anzi i corpi deformati o martoriati dei personaggi). Se metà del pubblico è turbata dai film di Aronofsky, l’altra metà lo ammira per il suo stile molto personale. The Whale è girato in un formato stretto, con delle bande nere ai lati, per far apparire Charlie ancora più ingombrante, soffocandolo in ogni inquadratura, e trasmettere agli spettatori la stessa sensazione claustrofobica.
Un film che commuove senza essere morboso
Vari elementi della trama di The Whale e i flashback sulla spiaggia evocano Mare Dentro di Alejandro Amenábar. Il protagonista è un uomo infelice che non vuole essere salvato. Dopo la morte del suo amante per anoressia, Charlie per contrasto è ingrassato fino a non riuscire quasi più a muoversi. Tuttavia The Whale è privo di quel voyeurismo tipico di alcuni reality show. La regia di Aronofsky è misurata, meno visionaria del solito: si concede solo qualche eccesso e uno slancio metaforico nel finale. The Whale può essere apprezzato anche da chi normalmente detesta Aronofsky. Perfino le musiche angoscianti di Clint Mansell, che accompagnano i primi sei film del regista, lasciano il posto a quelle di Rob Simonsen, velate come il canto delle balene.
Meglio affrontare certe tematiche che rimuoverle
È di questi giorni la polemica sulla cancel culture che riscrive i libri per l’infanzia di Roald Dahl, censurando tutte le parole considerate politicamente scorrette come “grasso”, “bianco” e “nero”, anche quando sono riferite a degli oggetti. È difficile credere che i bambini diventino grassofobici leggendo di Augustus Gloop nella Fabbrica di Cioccolato. Dahl aveva fiducia nella loro intelligenza: se allenati a ragionare, possono rivelarsi più maturi di tanti adulti. Come gli altri lavori di Aronofsky, The Whale non è certo un film per bambini. Ma se vogliamo sensibilizzare i ragazzi sul tema dell’obesità, una pellicola candidata a tre premi Oscar, che affronta in maniera toccante quanto esplicita la condizione del protagonista, appare senz’altro più utile della censura.