01-02-2015 ore 16:38 | Cultura - Storia
di Luigi Dossena

Historia et Imago Cremae. Il crocefisso salvato dalle fiamme e le lotte popolari fra guelfi e ghibellini nel 1448

Una delle più grandi menzogne propalate contro i cremaschi è quell’infamante epiteto che, seppur sottotraccia, viene di tanto in tanto sibilato; cioè che noi fussimo stati in passato degli inveterati iconoclasti, dediti a bruciare i crocefissi lignei cum imago christi. Essendo una sesquipedale falsità, i cremaschi hanno sempre fatto spallucce a quella nomea che però nasce da un fatto veramente accaduto e che oggi narreremo, tratto da un testo quasi coevo ai fatti, anzi ai misfatti.

 

Il barbiere guelfo
Sul finire del 1447 Crema era investita dalle solite beghe fra milanesi e veneziani, fra il duca e il doge e in città fra guelfi e ghibellini. In quello scorcio si stipulò fra Venezia e Milano una momentanea pace e fra gli accordi si volle Crema governata dai ghibellini (filomilanesi).  Arriviamo al ferale 1448. Gasparo, ghibellino, dopo aver espugnato la rocca di Ombriano et anco la rocchetta dila Crema, il 7 febbraio fece issare fino alla sommità della maggior torre nel castello di Porta Serio il barbiere Francesco Honeta. La sua colpa non era certo di tagliare barbe e capelli, ma di essere guelfo.

 

L'idoneità alla guerra

I ghibellini cremaschi desideravano enucleare tutti i guelfi dal borgo, così stesero un proclama, sostenendo di avere ricevuto direttive dai diplomatici del duca di Milano, intimando che tutti i cittadini di Crema dai 15 ai 60 anni dovessero sfollare entro una certa ora fuori da Porta Ombriano, colà sarebbero stati passati in rivista per valutare l’idoneità alla guerra. Rimarcando che erano esigenze militari imposte dai milanesi, tutti uscirono all’ora designata per quell’improbabile censimento e la fiumana si riunì fuori porta. Dalla torre del Rivellino, Giovanni Tintori, da perfetto tribuno, urlò: “chi è ghibellino entri in città, chi è guelfo se ne vada”.

 

Scontri e tumulti
Rientrati fulmineamente i ghibellini segretamente informati, il ponte levatoio di Porta Ombriano si alzò, beffando così i malcapitati: scoppiarono tumulti e scontri, ma per i guelfi in quel frangente la frittata era fatta! Sugli spalti frammischiati ai ghibellini che sbertucciavano gli odiati avversari, urlanti e piangenti c’erano le madri, le sorelle e le spose dei guelfi cui fu ordinato di prendere i loro averi e lasciare immediatamente la città. Tal Ghideletto posizionò sulla facciata del Duomo, nella cantonata che guardava la Piazza Maggiore (l’allora parte di Piazza Duomo) una candela di cera e l’ultimo pubblico bando: tutti i guelfi che fossero ancora rimasti dovevano lasciare la città prima che la candela si spegnesse, pena la forca. E così dopo che gli ultimissimi guelfi furono sfollati, la candeletta si spense.

 

Il Cristo bruciato
Scese la notte e molti ghibellini si radunarono nel Duomo, oltre al buio calò anche la temperatura e al centro accesero un fuoco. Antonio Passerotto, uno dei più facinorosi, sbottando urlò Ah! Adesso potremo liberamente parlare senza che nessuna spia Guelfa ci ascolti! Lì accanto Giovanni Alchino Branbilasco de Bergamasca, uomo di pessima fama, guardando il ligneo crocefisso bisbigliò “ce n’è uno pure quà, ma nemmeno lui rimarrà” e salendo sopra le sedie del coro e poi sopra un’inferriata che a quel tempo attraversava tutta la chiesa, prese il crocefisso e lo buttò nel fuoco… i restanti ghibellini subitaneamente redarguirono il sacrilego bergamasco e sfilarono l’immagine sacra dal fuoco.

 

Pandemonio in città
Il crocefisso bruciò un poco sul fianco, in città scoppiò un pandemonio, lo sdegno dei piissimi cremaschi (anche se ghibellini) raggiunse il livello da sommossa popolare, tanto che il podestà, sbalzato dal letto, scese a rotta di collo dal Palazzo Comunale e corse in tutta fretta in Duomo pensando al peggio, ma al fine tutto è bene ciò che finisce bene… Il crocefisso si salvò e noi chiudiamo il racconto evitando di descrivere la fine che fecero fare al bergamasco, accennando altresì che fu durante quegli accadimenti che nacque la storia del crocefisso le cui gambe lignee del Cristo, a contatto col fuoco, si ritraessero ed  il crocefisso venerato diventò col tempo anche miracoloso. Fonti: Pietro da Terno  - Historia di Crema.   

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