23-04-2020 ore 11:45 | Cronaca - Crema
di Andrea Galvani e Claudia Cerioli

L’emergenza Covid raccontata dall’interno del pronto soccorso dell'ospedale di Crema

“In pronto soccorso i momenti difficili sono stati tanti. Soprattutto nelle fasi di sovraffollamento: gli indici che misurano il grado di sovraffollamento sono stati al massimo per quattro settimane. È stata una continua rincorsa, il senso di impotenza per non riuscire a fare tutto quello che si poteva fare per i pazienti in arrivo è stata l’emozione più difficile da superare”. Partecipando ad un’iniziativa della Parrocchia di Pandino, il progetto Rinascere insieme, il primario del Pronto Soccorso di Crema, Giovanni Viganò, ha raccontato in collegamento video gli ultimi mesi di lavoro al Maggiore, pesantemente segnato dal Covid-19.

 

Tutto stravolto dal Covid

“Sono stati giorni davvero difficili” ha aggiunto Annamaria Bona, responsabile del servizio infermieristico di Crema. Alla fine di ogni turno, arrivata a casa, si domandava se durante la notte e il giorno successivo il pronto soccorso sarebbe riuscito a far fronte alla situazione. Sollecitato dalle domande di Renato Galvani, Viganò è tornato alle fasi precedenti all’epidemia: “Prima dell’arrivo del Covid19, a fine dicembre 2019, il pronto soccorso di Crema contava oltre 66 mila pazienti, con un continuo aumento del lavoro. L’orario di punta era tendenzialmente dalle 13 alle 18. I Codici verdi erano 76% e i bianchi il 10%. Tutto è stato stravolto dal Coronavirus”.

 

Dalla metà di gennaio

“A metà gennaio quando si parlava di emergenza Coronavirus in Cina, ci siamo interfacciati con la dirigenza per come eventualmente gestirlo in Italia. Il dato di partenza – ha spiegato Viganò - era di centralizzare con Areu i pazienti Covid in ospedali con reparti di malattie infettive. Il nostro ruolo doveva quindi essere marginale”. Crema avrebbe dovuto arrivare alla diagnosi dei pazienti e inviarli in strutture adeguate. A febbraio, con il primo paziente positivo a Codogno, abbiamo rifatto il punto della situazione, ma nel corso della giornata del 21 febbraio tutto è stato stravolto”. Il numero dei pazienti (anche dalla zona rossa) inviati da Areu a Crema è cresciuto in modo esponenziale perché Lodi e Cremona non erano in grado di fronteggiare la situazione. “In questa fase abbiamo cercato di stabilizzarli e mandarli in ospedali con reparti dedicati, ma la situazione si era fatta già subito complessa, perché i pazienti avevano problemi di insufficienza respiratoria e dovevano essere stabilizzati immediatamente”.

 

Aree dedicate

“Nei giorni a seguire, abbiamo realizzato che il trasferimento era impossibile, allora sono state predisposte aree dedicate e convertita un’ala per pazienti Covid. Un’area sola non bastava, allora sono state aperte altre zone e siamo arrivati a ricoverare 300 pazienti Covid, divisi in diverse aree di intensità. La terapia intensiva è passata da 6 a 8, poi a 12 e alla fine a 15 posti letto. La pressione sul Ps si è fatta sempre più alta con 70 pazienti, 10 dei quali attaccati ai respiratori e si è allentata con l’entrata in servizio dell’ospedale da campo: “il Maggiore è passato dall’essere pluri specialistico a completamente Covid, grazie alla collaborazione di tutto il personale”, che ha saputo affrontare problematiche diverse dalle proprie specificità, riuscendo a fronteggiare la situazione.

 

Riorganizzati reparti e personale

Visto dal punto di vista infermieristico, Annamaria Bona ha raccontato che dato il grande afflusso dei pazienti, “si stava da tempo lavorando per riorganizzare il Ps e potenziare aree come il triage, ma tutto è stato sconvolto dalla pandemia. L’azienda e quasi tutte le unità operative sono state riorganizzate per poter accogliere pazienti Covid dal Ps. Abbiamo implementato il personale e rivisto i turni. Ci siamo subito resi conto che i pazienti avevano complessità particolari e che richiedevano terapie intensive o sub intensive. Ci siamo messi in gioco e abbiamo cambiato quasi tutte unità operative e abbiamo cercato di ridistribuire personale con competenze diverse, con esperti che potevano formarli. Si sono trovati a lavorare in reparti diversi, con colleghi diversi, con Dpi che nascondono il viso e che fanno un po’ perdere l’identità. Abbiamo dovuto integrare l’équipe. Il timore maggiore era legato al nuovo virus e al contagio. Timore soprattutto quando alcuni colleghi si sono ammalati. Dal personale, tuttavia, non ho mai avuto lamentele e dinieghi, ma si sono resi tutti disponibili a cambiare turni anche da un giorno con l’altro”.

 

Il pronto soccorso oggi

Ad aggravare il quadro, ha spiegato Annamaria Bona, il fatto che “per il Covid non c’è una terapia specifica. Il nostro ruolo era di supportare le funzioni vitali per far sì che il paziente riuscisse a superare la malattia. Abbiamo riscontrato grande empatia da parte dei malati, che hanno reagito senza lamentele alle attese in Ps, nonostante la necessità di cura fosse più elevata”. Oggi la situazione in pronto soccorso è migliorata: “c’è più calma, non è più sovraffollato. Quello che ora dobbiamo garantire è il massimo della bio sicurezza. Il Ps è diviso in due sezioni: quelli affetti da Covid e altre patologie”. Dovendo prevedere che siano Covid tutti i nuovi accessi, sono state create “zone di filtro”. Viganò ha assicurato che “i presidi di sicurezza l’azienda li ha sempre forniti sia per noi che per i pazienti”. Al riguardo vanno ringraziati tutti quanti hanno effettuato donazioni di Dpi, che “garantiscono limitazione del contagio al 90% in una distanza di un metro di sicurezza. Raccomandiamo a utenti di recarsi in ospedale solo per questioni serie”.

 

Il momento

“Ora stiamo vivendo il momento più delicato. Il personale si deve formare continuamente. Dovremo pensare ad una nuova logistica perché non sappiamo cosa ci aspetta il futuro. Le donazioni che abbiamo ricevuto sono state usate per attrezzature, logistica e device utili al paziente. Abbiamo usato anche tablet per far fare video chiamate dei pazienti ai famigliari. Ed è stato un momento bellissimo”. L’emergenza sanitaria non è conclusa, il personale medico invita tutti a non abbassare la guardia per evitare un acutizzarsi della pandemia.

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