Al comune di Crema sono state restituite tre documenti risalenti al periodo tra il Settecento e l’Ottocento, appartenenti all’abbazia di Cerreto. Si tratta di disegni e di una copia tratta dal catasto: ricostruiscono le coltivazioni e la gestione delle acque, nel documento ritrovato e restituito dai carabinieri, si fa riferimento alla roggia Alchina. Come spiegato dal maggiore Claudio Sanzò, con l’appuntato scelto qualifica speciale Lorenzo Caimmi e il maresciallo capo Pasquale De Palo del comando dei Carabinieri tutela patrimonio di Monza e dal sostituto procuratore della repubblica, presso il tribunale di Cremona, Andrea Figoni, fanno parte del materiale (14 opere in tutto) recuperato dai militari in un’abitazione della provincia di Cremona, nel corso di una vasta operazione, ancora in corso. Altri dettagli potranno essere forniti in seguito alla chiusura delle indagini preliminari, anche a tutela delle persone coinvolte a vario titolo. Operazione scaturita da un annuncio online, “frutto del costante monitoraggio di mercatini, aste e attività sul web”.
“Indagini multi istituzionali”
Il sindaco Fabio Bergamaschi, insieme a don Mario Carminati, vicario episcopale per gli affari economici della Diocesi di Bergamo, destinatario di una parte delle opere rinvenute, hanno espresso parole di stima per il lavoro prezioso, spesso silenzioso, ma costante, svolto dai carabinieri, in prima linea nella tutela del patrimonio culturale: “materiale cartografico prezioso, consentono di apprezzare ciò che siamo stati e consegnano alle generazioni future la possibilità di ripercorrere la nostra e la loro storia”. Un lavoro certosino, che dimostra “la presenza dello Stato”. Il sostituto procuratore Figoni ha sottolineato “la complessità dell’operazione”. Le ha definite “indagini multi istituzionali”, vista la quantità delle persone coinvolte, dagli inquirenti agli esperti del settore.
Il codice Dolfin
I tre documenti ritrovati, hanno aggiunto Valeria Leoni, direttrice dell’Archivio di Stato di Cremona, con gli archivisti cremaschi Francesca Berardi e Giampiero Carotti, saranno tolte dai quadri e soprattutto poste al riparo della luce. Torneranno al codice Dolfin, dal nome della famiglia veneziana che ebbe in concessione i beni di san Bernardo di Crema dal 1587 nei territori di Rovereto, Corte Palasio, Casaletto e Ombriano, a partire da Nicolò Dolfin: già podestà e capitano a Crema, “in cambio di un cospicuo censo annuo e dell’impegno da parte di costui a depositare entro 25 anni un congruo capitale destinato ai lavori di costruzione dell’abbazia di S. Bernardo, che iniziarono nel 1590. In seguito il Dolfin non ottemperò all’impegno assunto e si limitò al pagamento del censo senza effettuare il deposito convenuto; i monaci del Cerreto citarono in giudizio i suoi eredi e si aprì così un contenzioso destinato a durare molto a lungo” (Doc. del 19 novembre 1587, ASMi, Culto, p.a., cart. 157). Sin qui erano noti documenti “più amministrativi”, inerenti controversie. Le nuove acquisizioni consentono di “poter ricondurre singole parti agli archivi di competenza, di effettuare una lettura complessiva, più profonda”. Come sintetizzato dal maggiore Sanzò, “questo è il momento più bello: la restituzione”. Quello in cui la collettività si riappropria di “pezzi unici”: se vengono smarriti creano un vuoto incolmabile.