Oggi è un giorno triste per il mondo della cultura e del giornalismo. Nel primo pomeriggio, a 81 anni, ci ha lasciati Aldo Parati. Classe '41, festeggiava il compleanno il 13 aprile. Uomo di straordinaria classe ed eleganza, giornalista dal 6 febbraio del 1979, è stato il primo responsabile della redazione di Crema del quotidiano La Provincia, voluto da Cesare Pasquali, in un piccolo ufficio di via Mazzini. L’ha diretta, in qualità di caposervizio, dal 1986 al 2004. Dal 1975 al febbraio del 1986 è stato una colonna portante del settimanale diocesano, Il torrazzo (nell'immagine a lato, pubblicata all'epoca da Punto a Capo) e dall’81 all’86 presidente dello Iacp, l’istituto autonomo case popolari. Ha fatto anche della radio, che ha molto amato, con le incursioni notturne come lupo solitario. Riservato, prediligeva l'essere all'apparire. Ha curato molte pubblicazioni (anche in ambito sportivo e politico) e scritto uno splendido libro, I caalér da la lüna (Crema, 1990), contribuendo dal 2009 in poi, in modo molto significativo allo sviluppo e al consolidamento di Cremaonline. La camera ardente sarà allestita presso la sua abitazione, in località La Marchesanina 1 a Camisano dal pomeriggio di domani, giovedì 13 ottobre. Il funerale si svolgerà sabato 15 ottobre alle 10 nella chiesa parrocchiale di Camisano.
Dotato di un’ironia sopraffina e di una cultura vivace, vasta e profonda, ha rappresentato un insormontabile baluardo per l’insipienza e il degrado di una parte, fortunatamente minoritaria, delle istituzioni locali. Amava profondamente la famiglia, la moglie Mariuccia e le figlie Mara e Micol. Adorava viaggiare e i più fortunati, nella redazione di via Cavour, potevano assistere ad incantevoli lezioni di arte o di teatro. Oppure discutere di fumetti e graffiti, del rock e dell’operetta. Era naturale trovarlo in redazione dopo gli spettacoli del teatro san Domenico, a dare un'ultima revisione agli articoli. A correggere un refuso. Svolgeva un lavoro artigianale. Curava ogni cosa, dalla didascalia al titolo di prima. Ricordava l'onomastico e il compleanno dei collaboratori. Sapeva far gruppo. Difendeva a spada tratta la redazione. Non c'erano personalismi, era tutt'uno. Aldo era un uomo che non sprecava fiato. Senza mai una parola di troppo. Senza mai scadere in un linguaggio volgare. Era autorevole. Molti e, non solo tra i collaboratori, gli davano del lei. Non per distanza, ma per una forma di rispetto. Quello più prezioso, guadagnato sul campo. Conosceva a fondo la storia locale, si appassionava parlando delle conquiste delle organizzazioni sindacali.
Era un uomo molto spirituale e conosceva l’arte della concretezza. Invitava i giovani giornalisti ad essere curiosi e indomiti, rispettosi senza essere ossequiosi, trasparenti, a mantenere sempre “la schiena diritta”. Predicava “l’amor di testata” e non sopportava “i trenini” o l’appiattimento al politichese. Disegnava le pagine del quotidiano direttamente in bella, con matita e righello, con un tratto elegante e sobrio. Ci mancherà moltissimo, ma conoscendolo, in una giornata come questa avrebbe spronato i colleghi a compiere fino in fondo il proprio dovere. Avrebbe posato una mano sulla spalla e con voce ferma avrebbe detto: “Emozionarsi o piangere per quello che è accaduto non sminuisce le persone. Anzi, rende migliori gli esseri umani”. Parafrasando un primo ministro britannico, nell’ambito giornalistico locale, “raramente così tanti dovettero così tanto a così pochi”, in realtà, in questo caso, ad uno solo.
“Arrivò un autunno in cui più nessuno si mosse per andare a spannocchiare; arrivò un inverno in cui si diradarono gli incontri nella stalla per trascorrervi la serata. Arrivò, quasi inaspettato, un giorno in cui una liturgia durata moltissimi decenni non trovò più officianti. Si chiuse, allora, quasi di colpo, un’epoca, come si chiude definitivamente un libro letto e riletto troppe volte”. (I caalér da la lüna).