09-01-2015 ore 12:20 | Cronaca - Crema
di Caritas Crema

Crema. Profughi richiedenti asilo la situazione presso la Caritas Diocesana. I tempi della burocrazia ed il dovere dell'accoglienza

E’ sempre più complicato tenere la contabilità relativa agli sbarchi di profughi richiedenti asilo nel nostro paese, si tratta di un dato in continua crescita anche se le condizioni climatiche dovrebbero nei prossimi mesi rallentare il trend. Ad oggi il numero più vicino alla realtà indica in 180.000 le persone giunte sul suolo italiano di cui poco più della metà attualmente ospitate presso i centri di accoglienza nelle varie regioni.

 

L'accoglienza

La Caritas Diocesana di Crema ha scelto di aprire le porte delle proprie strutture a questi fratelli dopo la prima ondata di sbarchi risalenti al 2011; in questa seconda occasione lo ha fatto sia direttamente sia attraverso un accordo con il Comune di Crema il quale ha messo a disposizione due spazi in città utili per l’accoglienza, delegando la gestione dei percorsi di accompagnamento a Caritas.


Il transito a Crema

Da aprile 2014 sono transitate a Crema 53 persone (singoli uomini e famiglie) di diversa provenienza: Nigeria, Ghana, Gambia, Mali, Senegal, Bangladesh, Palestina, Egitto, Siria ed Eritrea. I profughi siriani (25, tra cui anche nuclei famigliari) e gli eritrei (2) si sono fermati per pochissimi giorni, il loro approdo in Italia è infatti nella stragrande maggioranza dei casi solo temporaneo perché l’obiettivo è raggiungere i paesi del centro e nord-europa (Germania, Olanda, Svezia, Finlandia…); altri profughi decidono invece di fermarsi in attesa di ottenere una risposta positiva alla loro richiesta di asilo politico.


Gli attuali ospiti

Attualmente sono ospitati presso la Caritas di Crema 22 richiedenti asilo, tutti uomini tra i 16 (due sono infatti minorenni) ed i 30 anni; tale ospitalità è regolata da un accordo ufficiale, una convenzione, stipulata con la Prefettura di Cremona che a sua volta riceve indicazioni sul numero di persone da collocare da Stato e Regione Lombardia. Tale convenzione prevede un impegno giornaliero da parte dello stato di 35 euro per ogni profugo; il contributo viene erogato agli enti che accolgono i richiedenti asilo e agli stessi è richiesto di provvedere ai fabbisogni primari (vitto, alloggio, vestiario, prodotti per l’igiene…) ed ai cosidetti servizi integrativi (orientamento psicologico, sanitario, legale, scuola di italiano, accompagnamento presso presidi ospedalieri o tribunali).


I pocket money

Una parte del contributo (pocket money di 2,50 euro al giorno) deve essere utilizzata per garantire ad ogni richiedente asilo la possibilità di acquistare alcuni specifici beni personali tra i quali schede telefoniche, giornali, snake, sigarette, biglietti autobus: gli enti non possono dare denaro contante direttamente ai profughi, per tale ragione stipulano accordi con tabaccherie che attraverso schede personalizzate permettono di usufruire del pocket money secondo le modalità previste.

 

La burocrazia

I tempi di permanenza presso le strutture sono strettamente legati alla richiesta di asilo politico: le commissioni territoriali chiamate ad ascoltare i richiedenti e poi decidere hanno tempi molto lunghi (chi è giunto in agosto, per esempio, verrà ascoltato solo ad ottobre 2015) ed i successivi ricorsi ai possibili dinieghi allungano ulteriormente la tempistica. Nel 2011 la prima ondata di profughi ha ottenuto un permesso per motivi umanitari dopo oltre due anni; ottenuto il permesso è automaticamente cessata la convenzione con la prefettura ma la Caritas ha scelto, seppur privata di un sostegno economico, di accompagnare queste persone per ancora un anno evitando loro il rischio di trovarsi senza niente e per strada, seppur con un regolare permesso. Diversi indizi lasciano supporre che anche in questa occasione le cose possano andare in questa direzione.


Il dovere di accoglienza

Viviamo tempi difficili, conosciamo la fatica a cui vanno incontro molte famiglie di residenti del nostro territorio, le incontriamo quotidianamente e proprio per questo pensiamo sia assurdo correre il rischio di alimentare assurde guerre tra poveri: riteniamo come Chiesa di avere un dovere di accoglienza nei confronti di questi fratelli spesso disperati, in fuga da guerre e conflitti, povertà, disposti a rischiare la vita attraversando il mare su imbarcazioni di fortuna, investendo denaro per il viaggio.

 

Confronto civile

Crediamo sia fondamentale in questa fase offrire informazioni precise a chi non sa cosa sta avvenendo, favorire momenti di confronto civile ma anche di incontro con le persone che stiamo ospitando, ascoltare le storie di chi è costretto a lasciare tutto per disperazione o in cerca di un futuro migliore. A partire dalla nostra Diocesi ma anche aprendoci al mondo della scuola abbiamo già avuto occasione di incontrare alcune comunità per riflettere su questo tema.


Aprirsi all’altro

In questa sfida difficilissima e a volte impopolare ci sentiamo spinti dalle parole di Papa Francesco, dalla visione di una “Chiesa senza frontiere”, dalla possibilità di creare ponti, costruire legami, aprirsi all’altro senza temere di perdere qualcosa ma anzi con la gioia di sperimentare la carità e offrirsi a chi è straniero, diverso ma in fondo uguale a noi.

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